Imprigionati, maltrattati, umiliati e sfruttati: è il destino di milioni di animali nel mondo utilizzati come attrazioni turistiche. Da ricordare, in tempo di vacanze!
MAESTOSI ELEFANTI schiacciati dal peso di due, tre, a volte quattro persone comodamente seduti sulle loro schiene, costretti a camminare per ore sotto il sole cocente. Imperiosi e selvagge tigri ridotte a mansueti gattoni che si lasciano abbracciare e accarezzare come animali domestici. Cuccioli di leone strappati alle loro madri a poche settimane di vita per diventare inconsapevoli protagonisti di inutili selfie ricordo da vacanze esotiche. Eppoi cobra a cui si staccano con le pinze i dotti velenosi per poter essere baciati da chiunque, scimmie vestite da geishe costrette a ballare e dimenarsi come ballerine di can can e orsi giganteschi che pedalano su minuscoli tricicli. Meravigliosi delfini, la pelle ustionata dai raggi del sole, trascinati dalle profondità degli oceani in minuscole vasche di cemento piene di acqua e cloro che gli brucia gli occhi, e tartarughe che si spaccano le zampe sbattendole furiosamente per lo stress di essere tenute in mano fuori dall’acqua come fenomeni da baraccone da mostrare al pubblico. Serpenti e coccodrilli che si sbranano l’uno l’altro sul fondo di pozzi dove marciscono in attesa di essere mostrati al pubblico e poi spellati per diventare borse e scarpette.
Sono le “attrazioni turistiche” che uno studio, commissionato dall’associazione ambientalista World Animal Protection all’Unità di ricerca sulla Conservazione dell’Università di Oxford, ha selezionato come le più crudeli rispetto a benessere della fauna selvatica che vi viene impiegata. Una vera a propria classifica delle efferatezze a cui vengono sottoposti gli animali utilizzati, alcuni considerati a rischio estinzione, in nome del cosiddetto “turismo globale” che sposta miliardi di dollari in tutto il mondo e che ogni anno vede 110 milioni di persone viaggiare da una parte all’altra del globo alla ricerca di emozioni che arrivano direttamente dal mondo animale. Una ricerca che ha avuto come primo risultato l’adesione di oltre 80 grandi compagnie turistiche mondiali alla campagna “Wildlife – not entertainers” promossa da WAP per fermare la promozione e la vendita di offerte turistiche dove gli animali vengono inutilmente e dolorosamente sfruttati.
Secondo la ricerca, che ha studiato 24 differenti tipi di attrazioni turistiche che sfruttano crudelmente gli animali in tutto il mondo, sono oltre 560 mila gli animali selvatici attualmente utilizzati per questo genere di intrattenimento. La Thailandia è famosa per le passeggiate a dorso di elefante, che però sono di moda in tutto il resto del Sud est asiatico e si vanno diffondendo anche in Sud Africa. Ma non tutti i turisti, anzi quasi nessuno, sa a cosa è sottoposto un elefante per trasformarsi in un mansueto trasportatore di umani. Il cosiddetto “crush” è un antico, quanto violento, metodo di addestramento: cuccioli, legati con funi e catene, costretti per giorni e giorni in piccolissime gabbie senza la possibilità di compiere alcun movimento se non quello voluto dall’addestratore pronto a colpirli con un bastone uncinato che gli provoca profonde ferite, destinate a infettarsi per mancanza di cure, con l’obiettivo di fiaccarne e poi spezzarne definitivamente la volontà. Un trauma fisico e psichico dal quale l’elefante non si riprende per tutta la vita. Un addestramento furioso, dal quale esce depresso, catatonico ma potenzialmente aggressivo, tanto da dover essere poi sempre tenuto a catena, legato con ganci simili a quelli utilizzati negli allevamenti di bovini. Senza contare la lunga e grigia esistenza trascorsa da soli, catene alle zampe, in piccoli recinti privati, privi di quella socialità che li contraddistingue e che li porta, in natura, a vivere in gruppi strutturati e pacifici. Uno dei posti peggiori al mondo, secondo la ricerca, dove un elefante possa avere la sventura di finire è il Nong Nooch Garden, in Thailandia. Qui una sessantina di elefanti sono regolarmente utilizzati per il divertimento dei turisti e per questo scopo sono stati addestrati, tra mille sofferenze, a giocare a calcio, a dipingere, ad andare su un triciclo, a lanciare freccette e, ovviamente, a ballare. Molti di loro sono rimasti deformi e zoppi.
Sorte non molto diversa per tigri e leoni. In moltissime località turistiche ancora piccolissimi vengono separati dalle madri, a cui sono molto legati, e isolati dal loro naturale contesto sociale per renderli docili e ammaestrabili. Il loro futuro è rimanere segregati in minuscole gabbie in cemento per essere poi esposti al pubblico ed utilizzati come protagonisti involontari di foto ricordo per turisti convinti che quella sia la loro vera natura. Ad alcuni di loro è permesso anche colpirli, se i cuccioli si dimostrano troppo aggressivi. E quando crescono? L’addestramento vira verso il trasporto, in genere bambini che vengono portati a passeggio in groppa al leone “buono”. Secondo la ricerca solo in Thailandia almeno 614 tigri vivono in cattività in una decina di località turistiche, ma altre situazioni simili sono state registrate in Australia, in Messico e in Argentina.
Unica località al mondo dove ancora si tengono prigioniere centinaia e centinaia di tartarughe sono le Isole Cayman. Nelle grandi vasche in cui migliaia di esemplari sono costrette a vivere una sull’altra della Cayman Tartle Farm, infatti, il divertimento offerto ai turisti è la possibilità di tenerle in mano. Le tartarughe, però, sono animali molto timidi. Fuori dal loro ambiente e fra le mani di sconosciuti, vanno nel panico e iniziano a divincolarsi violentemente, tanto violentemente da fratturarsi da sole le zampe, sbattendole in maniera incontrollabile. Una vera tortura che in pochissimi considerano per quello che è.
Così come pochissimi si accorgono di quanto sia innaturale per un orso dalle notevoli dimensioni essere travestito da clown e pedalare su un piccolissimo triciclo. Tenendo anche presente che il “dopolavoro” cioè il tempo della loro vita non dedicato agli spettacoli ai quali sono obbligati più volte nello stesso giorno, consiste nel vivere ammassati in luoghi bui e sovraffollati. Loro che, per natura, sono essere solitari. Si ammalano molto spesso, per questo. E diventano molto molto più suscettibili e, quindi, più feroci.
E se i delfini in natura percorrono anche 100 chilometri al giorno nelle profondità degli oceani, per quelli sfortunatissimi che non riescono a sfuggire alle barche ad alta velocità che li inseguono in mare aperto per catturarli, il destino è rappresentano da piscine che sono poco più di vasche da bagno, piene zeppe di cloro e incapaci, per la bassa profondità, di proteggerli dai raggi del sole che infatti ustionano la pelle liscia e delicata di questi questi mammiferi dall’intelligenza sorprendente. Per loro la vita diventa una ripetizione di ore alternate tra spettacoli e addestramenti duri e inflessibili. E spesso i segni di autolesionismo sono evidentissimi.
E poi ci sono i macachi e i cobra. Entrambe queste specie hanno una lunghissima storia di spettacoli di strada che li vedono protagonisti: i primi ammaestrati a ballare e ridicolizzarsi travestiti da umani, i secondi a lasciarsi “incantare” da un flauto. Ma quando non “lavorano”? Per le scimmie c’è una vita di reclusione legate a catene spesso così strette da lacerargli la pelle del collo: solo in Thailandia ce ne sono più di 290 in prigionia. Per i cobra lo spettacolo si è evoluto: ora invece di muoversi al suono di un flauto dolce, devono diventare così docili da essere baciati in pubblico, per le foto ricordo da riportare a casa. Ma per farlo esiste solo un metodo: estrargli, con pinze per niente indolori, i dotti che conducono il veleno ai denti. Per loro, come per i coccodrilli, la vita è un allevamento intensivo da dove usciranno solo sotto forma di pellame per scarpe e borse. Ma nel frattempo, utili anche per gli spettacoli.
“Noi vogliamo un mondo in cui gli animali selvatici possano vivere nella natura a cui appartengono – spiega WAP – ma uno degli ostacoli maggiori per questa vita di libertà è il turismo globale. E se è vero che il 25% di questi viaggi ha una ricaduta positiva perché va ad alimentare quelle attività di salvaguardia e recupero che riguarda fino a 13 mila animali salvati e protetti, sappiamo però grazie anche a questa ricerca che l’85% dei turisti non conosce l’impatto negativo che questo genere di viaggi hanno sul benessere animale. Per questo c’è ancora moltissimo da fare”. La sfida è, quindi, viaggiare consapevolmente. Ed è per questo che ora WAP sta cercando di coinvolgere Trip Advisor, contando sulle grandi potenzialità offerte dal più grande motore di ricerca turistico esistente sul web, capace di influenzare milioni e milioni di viaggiatori in tutto il mondo.
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.