Furono i bambini ad assegnare a Steve McCurry il premio che lo consacrava testimone assoluto della distruzione di ambiente e animali causata dalla guerra, in grado di far impazzire i meccanismi di equilibrio e sintonia fra elementi che erano rimasti inalterati per millenni e improvvisamente venivano spazzati via da bombardamenti, esplosioni, inquinamento e devastazione. Era il 1992 e la foto, scattata l’anno prima nel Kuwait, vinse il primo premio della Children Jury del World Press Photo, impressionando il mondo con quell’inferno di fuoco, il petrolio incendiato che divampava in altissime fiamme, che faceva da sfondo al passaggio atterrito di un gruppo di cammelli. Quegli animali, spaventati e pericolosamente in fuga, fecero da cartina di tornasole ad un problema enorme che solo allora cominciava a manifestarsi così chiaramente: il problema di un’armonia spezzata tra uomo e animale, che McCurry continuò a raccontare negli anni a venire con migliaia di scatti in cui metteva a fuoco il rapporto non sempre idilliaco, spesso sofferto, a volte profondo e proficuo tra gli esseri umani e i loro fratelli non umani.
La sintesi rigorosa di questo impegnativo lavoro sono i 60 scatti selezionati per Animals, la mostra che il 16 dicembre inaugurerà il nuovo spazio dedicato alla fotografia dal Mudec che con due temporanee l’anno si candita a nuovo polo espositivo milanese per l’arte fotografica. Una mostra, fino al 31 marzo 2019, che come ci ricorda la curatrice Biba Giacchetti “Ci invita a riflettere sul fatto che non siamo soli in questo mondo, in mezzo a tutte le creature viventi attorno a noi. Ma soprattutto lascia ai visitatori un messaggio: ossia che, sebbene esseri umani e animali condividano la medesima terra, solo noi umani abbiamo il potere necessario per difendere e salvare il pianeta.” Una mostra che anticipa l’uscita, prevista nel 2020, di una nuova grande monografia interamente dedicata agli animali. «Un soggetto inedito in costante divenire, – spiega ancora la curatrice – il cui fine è rendere omaggio alla condizione animale con una narrazione su piani diversi. Ai suoi scatti più drammatici, come quelli della Guerra del Golfo, si alterneranno racconti poetici, interazioni con l’uomo, ritratti esilaranti di etnie lontane ma anche personaggi occidentali colti nell’atto di presentare all’obiettivo di Steve gli improbabili compagni della loro vita, e poi animali liberi e selvaggi, o soggiogati dal lavoro, animali che consentono la sopravvivenza umana, sfruttati per contrastare la miseria».
Fu proprio grazie a quella catastrofe ecologica frutto della guerra in Kuwait, che per Mc Curry arrivò il momento di porre il suo sguardo fotografico, acuto, sensibile, mai banale, sul rapporto fra uomo e animali e sulle conseguenze delle attività dell’uomo, a volte nefaste, sulla loro preservazione e salvezza. Ne scaturirono scatti epocali, come quello dei cammelli che sti stagliano contro un orizzonte di fuoco, appunto. «Era una scena apocalittica – racconta McCurry. – Il giorno si confondeva con la notte, il fumo, i boati spaventosi; noi procedevamo con lentezza, su una jeep militare, attraverso campi minati, attenti a seguire le tracce dei mezzi che ci avevano preceduto. E incontravamo la devastazione, l’inferno in terra; a tratti era impossibile respirare e il fumo era così denso da avvolgere tutto e rendere la visibilità pressoché nulla. Intorno a noi carcasse di macchine, esseri umani poco distanti travolti dal fuoco, animali allo sbando in cerca di acqua; incontravamo cavalli, mucche, i leoni dello zoo distrutto di Kuwait City, tutti indistintamente disorientati e affamati, e poi i cammelli». Il fotografo, famoso per le situazioni improbabili in qui si è venuto a trovare nel corso della sua lunga carriera, la racconta come «una delle esperienze più dure e incredibili della mia vita professionale. Ricordo che a un certo punto mi apparve una famiglia di cammelli che procedeva in fila indiana, ma era impossibile fotografarli. Tutto era avvolto da un fumo denso e nero, i cammelli stessi erano neri, tutto era un unico lago di petrolio, il cielo e la terra, tutto si confondeva. Poi ecco una nuova esplosione a illuminare l’orizzonte e i cammelli che si stagliavano su di esso. Ho cominciato a scattare e li ho seguiti per circa un’ora, saltando giù dalla jeep. E solo dopo, quando sono stato sicuro di avere lo scatto giusto, mi sono reso conto che avevo lasciato la pista e mi trovavo in pieno campo minato». A rievocare quelle atmosfere, in mostra ci saranno anche il celebre scatto dell’uccello dagli occhi rossi e spiritati completamente sommerso dal petrolio, immortalato mentre si accingeva a migrare, ma anche, presentato per la prima volta, quello della leonessa che fissa l’obiettivo nello zoo di Kuwait City e quello del cavallo e della mucca che si aggirano, disorientati e sconvolti, fra i campi minati.
Negli anni a seguire le foto di McCurry hanno continuato a raccontare storie terribili, come quella del cane Suchi legato sul retro di una bici in Afghanistan, e pronto per essere immolato nella tremenda piazza dei combattimenti tra cani di Kabul, triste usanza tornata in auge dopo la sconfitta dei Talebani. Un animale fiero e bellissimo, ridotto a pacco legato con un filo sul portapacchi di una bici, in attesa di un mondo di ferocia che di li a poco lo avrebbe inghiottito. Oppure storie tenerissime, come quella dell’immagine scattata a Chiang Mai nel 2010, in cui un elefantino grattandosi sopra un masso di pietra finisce per adagiarsi su di un giovane guardiano intento a leggere, raccontando per una volta di elefanti non massacrati per il bracconaggio né asserviti a sostegno dell’industria turistica, ma semplicemente rilassati nel loro contesto naturale che condividono con gli uomini che li hanno salvati.
Storie che, già nel lontano 1983, ci parlavano di cambiamenti climatici irreversibili, come quelle della serie titolata “Monsoon” attraverso la quale McCurry affrontò il tema delle alluvioni e delle inondazioni nel sud est asiatico. Un lavoro ispirato da Brian Brake (1927-1988), fotografo neozelandese che lo aveva affascinato nella sua adolescenza con un lavoro su questo stesso tema e che McCurry incontrerà solo dopo essere diventato un protagonista della fotografia internazionale. E poi ci sono le foto tra il fashion e lo stravagante, come quella del buffo barboncino rosa immortalato negli Stati Uniti nel 1991. Sul Walk of Fame di Los Angeles, un signore lo porta al guinzaglio a rendere omaggio a un grande produttore cinofilo, David Wolper che nel ’66, aveva prodotto “It’s a Dog World”, un film dedicato alla vita dei cani.
«Negli spazi di Mudec Photo – conclude la Giacchetti – è esposta anche una galleria di ritratti esilaranti, in cui una selezione di personaggi posa per l’obiettivo di Steve con il proprio animale d’accompagnamento. Il divertimento sta nel prendere atto dei gusti eterogenei che gli umani soddisfano pescando variamente nel mondo animale».
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