Sono passati quattro mesi dal 16 luglio quando, alle prime ore del mattino, l’operazione Trophy lungamente preparata ha portato 175 doganieri, 40 agenti di polizia, 6 ispettori e 2 veterinari a forzare tre appartamenti nella periferia di Praga.
A quattro mesi di distanza da quella mattina il rapporto, dettagliatissimo, sull’inferno scovato dentro queste case è diventato protagonista della annuale riunione del CITES, l’organismo internazionale che applica la Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali minacciate di estinzione.
Quella mattina, gli ispettori e le forze dell’ordine si aspettavano di trovare 44 tigri e 80 leoni vivi, allevati per quei fini che, ancora, in Europa sono permessi: l’esposizione negli zoo e l’utilizzazione nei circhi. E infatti l’allevatore proprietario di questi spazi era solito spostare gli animali, allevati dentro gabbie di cemento sporche e puzzolenti, a seconda delle attività per cui venivano richiesti: parchi-zoo dove poter essere fotografati, set fotografici per spot pubblicitari, addirittura un musical (Carmen) per il quale venivano appositamente addestrati due giovani leoni maschi.
All’appello però mancavano 16 tigri, che secondo gli ispettori avrebbero invece dovuto essere li.
Del destino di queste tigri, scomparse dall’allevamento “casalingo” praghese, non è dato sapere ma la presenza di un’esemplare morto, buttato a terra e in attesa di essere dissezionato e trasformato in ossa da macinare per produrre brodo o “vino” di tigre dai poteri magici, in pelle da vendere ai commercianti, in artigli da incastonare per fantomatici gioielli o amuleti, non lascia presagire niente di buono.
Questo tetro laboratorio di morte, era infatti completato di tutto ciò che era necessario per l’opera: c’erano ganci per appendere i corpi morti degli animali uccisi, una bombola del gas e un gas fornello con un contenitore pieno di materiale animale non specificato, un set di pentole e stampi di brodo. «C’erano molti corpi di animali in diversi stadi di decomposizione, alcuni dei quali erano stati immagazzinati all’interno di congelatori, ma le carcasse in decomposizione erano sparse a terra o erano state immagazzinate in diversi tipi di container. L’odore terribile ha reso l’operazione più difficile» si legge testualmente nel rapporto CITES che continua: «Furono ritrovati altre 4 pelli di tigre, conservate in vari modi, una pelle di leone, 2 pelli di pantere, un teschio con residui di carne. Furono scoperti anche 10 artigli di tigre e pezzi di tessuto».
Tre i sospetti che, a luglio, vennero presi in custodia. Dopo due mesi, l’allevatore e il commerciante vietnamita sono stati rilasciati. Solo l’intermediario è rimasto ancora sotto sorveglianza. Il caso, che all’epoca ebbe vasta eco suscitando l’interesse dei lettori e dei media, ha attirato l’attenzione internazionale e spinto in molti ad accendere i riflettori su un problema sul quale, già da tempo, l’associazione animalista Four Paws sta cercando di richiamare l’attenzione. «La convinzione che le tigri che arrivano dall’Europa siano più grandi e più forti, è molto diffusa in Asia e, un po’ come succede per le automobili, l’origine europea è sinonimo di qualità – afferma Kieran Harkin, responsabile di campagne naturalistiche di FOUR PAWS. – I commercianti asiatici di animali selvatici dichiarano apertamente che i loro clienti preferiscono le tigri europee”.
Four Paws sta raccogliendo dati da parecchio tempo: «Recenti ricerche mostrano che il commercio legale e illegale di tigri in via di estinzione e di parti del loro corpo sta fiorendo in Europa. Non sono coinvolti solo i paesi dell’Europa orientale, ma anche paesi dell’Unione Europea come Italia, Francia, Germania e Spagna. La mancanza di controlli e registrazioni rende l’Europa un El Dorado per i commercianti di animali selvatici dell’Asia». Il rapporto di Four Paws è sconcertante, nella sua crudezza: «molte delle tigri allevate in cattività finiscono in giardini zoologici e circhi discutibili o vengono macellati e trasformati per la medicina tradizionale cinese. Solo tra il 1999 e il 2016, 161 tigri sono state esportate legalmente dall’UE all’Asia, dove di solito scompaiono grazie ad una rete di contrabbandieri. Il business è redditizio: dopo tutto, una tigre nel mercato asiatico può arrivare a valere 22 mila euro».
Il problema è che la riproduzione e la commercializzazione di tigri è consentita in tutta l’Unione Europea, mentre la mancanza di documentazione rende impossibile determinare quante di queste tigri vivono in cattività in Europa. L’altro dato che emerge è che in Europa le tigri muoiono, sospettosamente, giovani, mentre in natura arrivano ai 20 anni. La ricerca di CITES rivela che le autorità ceche hanno scoperto che negli allevamenti privati muoiono tra i 4 e i 5 anni di età. «In questa giovane età, le tigri sono generalmente considerate sane e agili: la cospicua morte prematura delle tigri in mani private è quindi associata a condizioni di conservazione estremamente povere, oppure gli animali vengono deliberatamente uccisi precocemente – probabilmente per sfruttare le parti del loro corpo» sostiene Harkin.
Secondo Four Paws, che sull’argomento ad agosto ha realizzato anche un sondaggio, la sensibilità dei cittadini sull’argomento è cominciata a cambiare. «Il 91% di un gruppo di 7.223 partecipanti provenienti da Austria, Germania, Regno Unito, Repubblica Ceca, Francia, Spagna e Paesi Bassi, sono a favore di un divieto di commercio di tigri allevate in cattività per scopi commerciali. Solo il quattro per cento vorrebbe che il commercio commerciale delle tigri restasse legale. Il resto si è astenuto». E la Repubblica Ceca, che in passato ha rappresentato un punto di riferimento importante in tutta Europa per l’allevamento e il commercio di tigri, dopo i fatti di luglio sembra essersi accorta che i tempi stanno ormai cambiando, tanto che il Ministero per l’Agricoltura ha disposto controlli più serrati e pene più severe. «Il cambiamento di atteggiamento nella Repubblica Ceca dovrebbe essere un esempio per tutti gli altri membri dell’UE – conclude Harkin – le tigri non sono oggetti di scena, non sono motivo per un selfie, né giocattoli da coccolare o accessori per la casa. Tanto meno non rappresentano nessuna cura medica miracolosa. È il momento che anche la Commissione europea vieti definitivamente il commercio di tigri».
Tutto ciò mentre il bracconaggio continua a decimare le ultime tigri rimaste libere nel mondo e a luglio il WWF avvertiva che «in tutto il pianeta ne sono rimaste 3900. Un secolo fa ce n’erano 100.000, presenti in 25 paesi: oggi solo 10 di questi hanno ciò che resta della tigre, con un habitat ridotto del 97%. Negli ultimi dieci anni la tigre si è drammaticamente estinta in paesi chiave come Laos, Vietnam e Cambogia». E con un bracconaggio mascherato, come quello che prolifera in Europa, la situazione non può che peggiorare.
(Grazie a @Four Paws per averci concesso l’uso delle immagini)
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