È l’unica donna ranger in un gruppo di cento, il lavoro è sfibrante e la famiglia la vedi 5 volte all’anno, ma Kwan vuole che il suo lavoro valga anche come esempio: «Qualsiasi lavoro che può fare un uomo, lo può fare anche una donna. A volte anche meglio»
Dalla macchina fotografica e dal taccuino non si separa mai. Perché gli occhi non bastano per tenere a mente le trappole lasciate dai bracconieri e le orme delle tigri selvatiche. Ma questo è il suo lavoro di ranger, unica donna in un gruppo di oltre cento ranger a Kui Buri, uno dei parchi nazionali tra le aree protette della Thailandia.
Woraya Makal, detta Kwan, paladina della salvaguardia delle specie in via d’estinzione e guerriera combattente contro i bracconieri, ogni giorno ha bisogno della sua macchina fotografica per documentare i movimenti degli animali selvatici che si muovono nel parco e le trappole disseminate dai bracconieri. Alla fine della giornata, grazie ad una app appositamente realizzata, le foto possono essere inviate ai suoi supervisori per essere inserite in un software che consente di gestire le attività di pattugliamento condivise tra i ranger e il WWF attivo nel parco. «Sono diventata ranger perché chi ricopre questo ruolo ha diritto di fare da solo le proprie scelte e soprattutto perché amo la natura», spiega Kwan.
Le idee chiare non mancano a questa giovane ranger. Un lavoro che in Thailandia è ancora appannaggio degli uomini. Un’indagine del WWF del 2016 ha svelato che in 11 paesi asiatici, Thailandia compresa, il 45% dei 530 ranger intervistati vedono i propri familiari meno di 5 giorni al mese. Una condizione che rende il lavoro ancora più proibitivo per una donna, soprattutto quando è madre. Kwan, che figli ne ha due, è stata spesso molto criticata per le sue scelte. «Se perdessi tempo a preoccuparmi di quello che pensano gli altri, non ne avrei per occuparmi dei miei figli. Tutto l’impegno che metto nel mio lavoro è soprattutto per loro».
Condizioni spartane, quindici giorni al mese di pattugliamento in aree spesso pericolose, dieci anni già trascorsi nella protezione della fauna selvatica e nel pattugliamento dei parchi forestali, da due anni e mezzo al Kui Buri National Park, al confine con il Myanmar. Ma per Kwan essere donna non è mai stato un impedimento nel suo lavoro. «Penso che non abbia importanza per la tua occupazione. Qualsiasi lavoro che può fare un uomo, lo può fare anche una donna. A volte anche meglio».
Nel parco nazionale dove lavora Kwan i visitatori non mancano. «È uno dei posti migliori dove avvistare elefanti asiatici e i bisonti indiani. Se sei fortunato – aggiunge – potresti vedere anche un banteng, un bovino piuttosto raro e tipico del posto». Tra le competenze di Kwan c’è quindi anche quella di sorvegliare gli ospiti del parco, la rimozione delle erbacce dai campi aperti insieme agli altri ranger e al personale del WWF e il reimpianto della vegetazione autoctona, per far si che gli elefanti abbiano abbastanza cibo e non si avventurino nei dintorni, distruggendo le piantagioni vicine al parco e causando grandi danni per le popolazioni locali. C’è talmente tanto da fare che alla fine gran parte dell’anno, per la giovane thailandese, si svolge proprio all’interno del parco. «Si creano amicizie e alleanze – conclude – ci comportiamo come fossimo una famiglia».
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